27 settembre, 2010

Forza d'ali - di Giusi Contraffatto




Sabato 30 settembre alle ore 18,30 nei locali della Galleria Roma di via Maestranza 110 Ebe Russo presenta la raccolta di poesie "Forza d'ali" di Giusi Contraffatto.
Interverranno Giusi Giuffrida dell'ANVOLT , Vitale Verri e Ina Nicosia.

Buffet con degustazione vini siciliani

Attraverso le sue poesie, Giusi Contraffatto esprime i sentimenti più intimi del suo animo,le sue intuizioni del reale,una forza comunicativa capace di coinvolgere sul piano delle emozioni e delle riflessioni anche il lettore più frettoloso. L'intensità poetica si sprigiona sin dai primi versi e ci porta, come fa lei, a guardare lontano, alla ricerca di un sogno più sereno e attraente, ma fuggevole come un palpito d'ali.

Ebe Russo

Giusi Contrafatto

imprenditrice in Sicilia gestisce un'azienda di famiglia fondata dal nonno Giacomo nel 1930, nasce a Caltagirone il 25 giugno 1960; censita il 29 giugno 1960 poiché incerta era la sua sopravvivenza. Tenace nel non lasciare questa vita lo è anche nel percorrerla, forte di carattere, decisa, fiera un miscuglio che fa di lei purezza infinita. Nasconde una sensibilità d'animo profonda, un patrimonio emozionale troppo vasto per essere rinnegato e misconosciuto, dare voce al suo "io più profondo" è un privilegio che dà ricchezza a chi da lei imparerà la strada della risalita. Giusi è energia in tutto ciò che è creativo, grande sognatrice, ama l'arte e la poesia come più alta espressione dei sentimenti e della natura che vivono in simbiosi. Segnata da esperienze molto profonde e significative, compone i suoi versi non perdendo mai di vista l'esempio più vero che attribuisce alla vita "perfetta e imperfetta" ma dotata di quell'armonia che ha sempre condotto "l'essere al vivere". A difesa dei sentimenti più puri, essenziali, alcune poesie raccontano di menti segnate e ferme ad antiche radici, dove le verità e ogni forma di sentimento sono adeguate a valori bendati, sordi e muti, ma dove le chiuse si affidano quasi sempre a speranze di luce e amore emarginando la condizione dell'ignoranza. L'amore, la lealtà dei sentimenti, i ricordi delle emozioni, sono esaltate da forze cicliche esistenziali come le stagioni, la luna, il sole.
Giusi è ferma nei suoi principi, nelle sue convinzioni, ferma e forte come le radici di un albero secolare piantato su una terra aspra, eppure vive di sogni e speranze che danzano nel cuore.
Un vulcano di creatività e passionalità sempre pronto ad eruttare, un animo poetico ricco di emozioni profonde, significative, incancellabili. Vi sono menti che sono destinate e condannate dal fato a perpetuare gli stessi principi e gli stessi ideali per tutta la vita, nulla scalfirà mai le loro scelte e i loro buoni propositi, impariamo da questi esempi di coraggio a cambiare la cultura aberrante che sovrasta gli infiniti silenzi che ci accompagnano. Diamo alla speranza il suono dolce di una nenia e al futuro i colori di un arcobaleno che si immergeranno in un rosa antico fatto di "Donna"quella Donna con la D maiuscola, che non perderà mai la sua identità di essere stata madre: "coraggio ed esempio" per i "figli mai partoriti. Sonia Demurtas nota le sue doti poetiche e decide di inserirla nella raccolta di liriche " VOCI DI CONCHIGLIA 2" e successivamente in "COLLANA DI PERLE".

Organizzazione e Direzione: Corrado Brancato

Addetto Stampa: Amedeo Nicotra

Ingresso Libero


Info:
0931/746931
0931/66960 (orario apertura Galleria)
cell.338/3646560
corradobrancato@hotmail.com

22 settembre, 2010

LUCIO PICCOLO


Per i giovedì della galleria, giorno 23 settembre alle ore 18,30 nei locali di galleriaRoma via Maestranza 110, Salvo Sequenzia parlerà di:


SI DICE CHE IL SILENZIO ERA FUGGITO
Storia di Lucio Piccolo barone di Calanovella, poeta e mago


Riverberi d’echi, frantumi, memorie insaziate,
riflusso di vita svanita che trabocca
dall’urna del Tempo, la nemica clessidra che spezza,
è bocca d’aria che cerca bacio, ira,
è mano di vento che vuole carezza

Lucio Piccolo, La notte

«Siamo qua come agli orli della vita, Contessa. Gli orli, a un comando, si distaccano; entra l’invisibile; vaporano i fantasmi; […]. Ecco tutto. I sogni, la musica, la preghiera, l’amore….tutto l’infinito che è negli uomini lei lo troverà dentro e intorno a questa isola». E’ per bocca del mago-poeta Cotrone, signore della Villa della Scalogna ne I Giganti della montagna di Pirandello, che facciamo ingresso nel mondo incantato e favoloso della poesia di Lucio Piccolo, un «mobile universo di folate» che rappresenta una delle più straordinarie vicende letterarie del Novecento.
Tale vicenda letteraria comincia nel 1954, quando il poeta invia ad Eugenio Montale le 9 Liriche stampate nello stabilimento tipografico «Progresso» di Sant’Agata di Militello. Entusiasta di quelle poesie, Montale presenterà lo stesso anno la silloge ed il suo autore ad un convegno di poeti a San Pellegrino. Da allora la vicenda letteraria del poeta dei Canti barocchi si mescola alla sua leggenda.
Lucio Piccolo di Calanovella nasce a Palermo nel 1903 da Giuseppe e Teresa Tasca Filangieri, appartenente ad una delle più antiche e nobili famiglie dell’isola, imparentata con I Lanza, I Notarbartolo di Villarosa ed i Moncada. L’autore de Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, era suo cugino. Il poeta ebbe residenza stabile a Palermo sino alla morte del padre, quando si trasferì a Vina di Capo d’Orlando, nella villa che divenne ben presto cenacolo di poeti, letterati, musicisti, maghi e scienziati. La sorella Agata era cultrice di botanica; il fratello Casimiro, studioso di parapsicologia, fotografo e pittore.
Lucio Piccolo fu studioso di filosofia, di scienze matematiche, astronomia, esoterismo; musicologo e compositore, conoscitore del greco antico, dell’ebraico e dell’arabo. Leggeva poeti e filosofi nei testi originali in tedesco, inglese, francese e spagnolo.
Piccolo ebbe una cultura di vastità e profondità enciclopedica e, pur muovendosi raramente dal suo eremo di Capo d’Orlando, fu a contatto con i maggiori poeti e letterati del suo tempo. Con il poeta Yeats ebbe una fitta corrispondenza sulla natura delle fate, che il fratello Casimiro dipingeva e fotografava nei giardini della Villa.
Cultura, memoria, magia, suggestioni ancestrali e sapienza orfica nutrono i versi di Lucio Piccolo; la sua poesia rivela la sua appartenenza a quel «sesto continente del pianeta piccolo e clandestino» che è la Sicilia, terra di miti brividata da ansie esistenziali e da urgenze speculative, popolata di fantasmi, nutrita di visioni e di attese. Poesia di incantamenti senza tempo, che fanno di questo poeta un “cantore”, più che un poeta nel senso della greca poesis. Non per nulla egli perseguì lungo tutto l’arco della vita l’ideale di una sapienza arcaica fondata sulla celebrazione della polarità che è, innanzitutto, “musica”. La sua perfetta conoscenza del greco antico e dell’aramaico, l’anelito costante alla scienza del numero pitagorica, lo studio del mondo delle ombre e dei suoi abitatori – fate, folletti, gnomi e creature fatue della notte – attestano una frequentazione costante, assidua, quasi sacerdotale, del poeta con una dimensione ed una realtà autre. Il suo essere trasognato, con lo sguardo sperduto verso orizzonti remoti e senza tempo, denota una immaginazione creatrice in cui la poesis seppe farsi profonda contemplazione, conoscenza visionaria, al modo degli iniziati di Eleusi.
Da questa sconfinata e traboccante immaginazione creatrice scaturisce una produzione letteraria originale e complessa, segnata da un linguaggio simbolico ed esoterico, da un perspicuo carattere orfico. Le raccolte Canti barocchi (1956) e Gioco a nascondere (1967) partecipano di tale dimensione visionaria, fragile, iniziatica e crepuscolare: «Sogno piani convessi/luminosi quadrangoli circolari/e l’infinito/chiuso in un anello».
La raccolta Plumelia (1967) e La seta (1984) rappresentano l’esito perfetto, la maturazione piena e consapevole della poesia di Piccolo, sia sul piano formale che su quello contenutistico. Come nei Canti barocchi e in Gioco a nascondere in Plumelia ritornano ricordi e impressioni dell’infanzia palermitana, immagini e visioni di luoghi e di paesaggi che trascendono il mero dato biografico e topografico per consegnarsi a una trama di richiami esoterici, mnestici, evocativi.
E’ la memoria il fondamento di questa poesia. Di quella Memoria che è Mnemosyne, madre delle Muse, che concede al poeta le immagini per una profonda riflessione sull’essere, sull’eterno, sulla fugacità, la morte, il male ed il tempo; la perennità della natura, la magia dell’universo, l’ansia del ritorno alle origini.
Ne La seta la raffinata mescolanza di toni di un fluido canto, in cui si depositano le scene di una natura che abbonda, si trasforma e svampa, costituisce la la dimensione stilistico-tematica precipua. Vibra un moto di pena esistenziale in questa poesia, assorbita dalla istanza della memoria, dalla intuizione di vertiginose ed ignote presenze cosmiche, che abitano e fecondano una natura meravigliosa e affannata, che il poeta coglie con preziose e abbaglianti cifrature barocche.
Lucio Piccolo si rivela poeta assorto, librato un una robusta direttrice di pensiero, nutrito di storia e di memorie, frequentatore di creature disincarnate, custode di segreti e di ombre, cifra intensa di un sostegno a un respiro poetico autenticamente governato dal senso della labilità dell’esistere, dal fuggire di ogni condizione della storia, mentre in un sospeso stato di attonita attesa, di meraviglia e scoperta, si levano i miti eterni dell’infanzia del mondo, stagione planetaria ora ritagliata a barlumi, oscura e raggiante, ora incedente nel Bosco sacro dell’universo, palpitante di vita, gremito di creature portatrici di nostalgie ancestrali, gravido di incantagioni e di umori, dove «sale la delizia del sangue dà fili/di porpora a le foglie, batte/nei petali e la corolla/s’apre al verace respiro;/ma si ferisce la mano/che la coglie e gioia e dolore/chiude l’istesso cerchio» (Il raggio verde e altre poesie inedite, Terza Esperide).

Cotrone: -Respiriamo aria favolosa. Gli angeli possono come niente calare in mezzo a noi; e tutte le cose che ci nascono dentro sono per noi stessi uno stupore. Udiamo voci, risa; vediamo sorgere incanti figurati da ogni gomito d’ombra, creati dai colori che ci restano scomposti negli occhi abbacinati dal troppo sole della nostra isola.
LUIGI PIRANDELLO, I Giganti della montagna

Salvo Sequenzia

Organizzazione e Direzione: Corrado Brancato

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13 settembre, 2010

Odore di Voglia Antica

Galleria Roma
via Maestranza 110 Siracusa
giovedì 16 settembre ore 18,30

ODORE DI VOGLIA ANTICA

Poesie di Francisca Saint Claire, presentate da Francesco D’Isa

Eros si erge immaturo e fanciullesco come Giasone già sul vello, dentro, attorno, fuori e la sua ricerca è già essere: essere nel divenire è muoversi esplicito fra “cosce traboccanti d’ingordigia”. Rose è d’eros “virtuosismo speculare” che lasci incedere la quinaria compresenza dei sensi in questa liricità così plurisensuale e d’incedere in incedere approdare al grido sussurrato “orgasmo multiplo investe la vulva abissale”, che si immagina avvenire proprio nell’istante eterno in cui l’orgasmo multiplo investa la sua vulva abissale: così lei, mentre lui è forse sempre lei che incede a sua volta “come la saliva di Ofelia sulle pudende di Pan”, e ancora lei elogia tale “morbida, audace venatura su muscolo teso, bagnato” (da lei), elogia “odore di sesso virile” (con lei), elogia “la furente sciabola dentro la carne erbosa” (di lei) e possiede “un ritmo folle”, “un vigore tremulo” e “la cadenza di una sbavatura ardente”. Così questa poesia pudica abusa d’impudicizia come l’eterno fanciullo Giasone gode di presocratica esenzione dalla conoscenza, concedendosi col solo ausilio dei sensi, amletico, nemmeno presagendo l’aristotelica intelligenza, la distinzione sessuale, la non-nudità: forse non-nato egli gode della non presunzione della nascita e guarda (ascolta, annusa, tocca, gusta) lei che urla di dolore (“Amleto amami”), di piacere (“nuda professo la vita”), di scetticismo consenziente (“Ti amai come tramonto di gustosa beltà sfiorita”) o dissenziente “calpesta con esasperato esotismo l’etica ambigua del detto in simbiosi” e Dispensatrice “è lei che la notte solca l’asfalto petalo d’incompresa lascivia” e compensatrice è la sensualità “del glande diviso” (“trasumananza sessuata nelle strade del mondo” che “sanguina”). Torna il verso “Mondo” per dirci forse purifico? Torna il verso “Umanità! Cadenza monotona, Plutarco arreso!” per darci forse “delle notti il vampiro del tuo stesso cuore”, poetessa, e dirci forse, ancora, purifico? Torna e ritorna il verso “Francisca Saint Claire”: che “mansueta sogni l’arrivo di Giasone…”? “Suona donna, suona ancora le ampiezze velate d’impeto greve”, venate di parnassiana voracità, “e sii muta nel bacio odoroso che gioiosa darai all’amante sinuoso”, mentre io, sterile postillatore, cerco l’eccesso esangue di Giasone, lo scettro pestifero di Pericle, la remota discendenza di Pan, la blasfema alterità di Amleto, la cortigiana scortesia di Baudelaire e presagisco una nuova voluttà e l’asprezza che dia “odore di voglia antica”, asperrima più che mai, come sui solchi bagnati di “sesso-sentiero esplosivo sensuale slegato oltremodo” e sudore-sesso umido doloroso odoroso represso esploso, mentre inattese, “di erotismo bruciato” intese, “ciglia nere come spighe scuotono i nidi canuti del viandante in essere”, cioè il sudore è il divenire del sesso, il sesso l’essere del sudore, l’anima e l’amore la cornice interna, intima platonica astratta esclusione, il sesso non sudato post mortem?

Organizzazione e Direzione: Corrado Brancato

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06 settembre, 2010

ASTRONOMIA



ASTRONOMIA

Il linguaggio dell’astronomia
Il linguaggio e la conoscenza della realtà percorrono lo stesso cammino.
Senza la profonda conoscenza del linguaggio con cui si esprime l’uomo nel suo divenire, sarebbe impossibile esplorare e conoscere l’animo umano, e profondo errore sarebbe il credere che tale conoscenza sia legata al solo linguaggio artistico - letterario.
L’osservazione del cielo notturno è sicuramente una delle più antiche della storia e il linguaggio ad essa collegato percorre una strada parallela all’evoluzione umana.

Qual è il linguaggio che ci permette di comprendere l’osservazione del cielo?
Quali emozioni ci suscita un’osservazione consapevole che si è evoluta dall’individuazione delle simmetrie delle costellazioni, alla visione della realtà del “passato” fino alla nascita del “TUTTO”?
Riusciamo ad utilizzare gli strumenti astronomici più potenti in nostro possesso, il cervello e gli occhi ?
Siamo soli nell’universo?

Su queste, come su altre domande, si discuterà presso la galleria Roma il 9 settembre 2010, sicuri di non avere risposte definitive ma consapevoli di lavorare per costruire un linguaggio minimo di comprensione comune sui grandi problemi dell’uomo moderno.

Organizzazione e Direzione: Corrado Brancato

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