La Galleria Roma nasce nel gennaio 1998 a Siracusa per l'esigenza di uno spazio espositivo aperto alla ricerca artistica e a tutte le forme di produzione culturale. La Galleria Roma è destinata essenzialmente ai giovani artisti non ancora noti ma che operano con serietà ed originalità. La Galleria Roma si prefigge anche il recupero di artisti locali che meritano per la loro attività una segnalazione e una riscoperta. (Corrado Brancato)
30 maggio, 2008
Siracusanteprima Teatro
CONTATTI
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27 maggio, 2008
26 maggio, 2008
I giovedì della Galleria
CON SALVATORE ZITO
STORIA TECNICA AUTORI E QUALCOS’ALTRO
Galleria Roma
Parlare di fotografia, nell’accezione più ampia del termine, in un breve incontro non può che cogliere solo qualche aspetto, storico o tecnico che sia. Sta di fatto che il mondo delle immagini fotografiche ha di per sé un fascino irresistibile di cui se ne può fare oggetto di piacevole conversazione per un pomeriggio quasi estivo quando ancora il caldo non ha stordito del tutto le nostre menti. Si faranno alcuni accenni alla storia della Fotografia, narrandone i presupposti e i protagonisti, si parlerà dei movimenti fotografici nati qua e là nel mondo, il loro concettualismo e il rapporto con le arti ufficiali. Infine, a condire il tutto, non guasterà qualche accenno alla tecnica, elemento la cui conoscenza è indispensabile per un’arte necessariamente soggetta all’uso di uno strumento. Nel corso della conversazione verranno proiettate immagini di famosi fotografi che accompagneranno il commento storico tecnico.
Argomenti trattati:
Le origini della fotografia
I movimenti fotografici
La manipolazione della luce
La fotografia attuale
"La tenerezza di Peitho"
"La tenerezza di Peitho"
24 maggio 2008
Omaggio a Siracusa
Palazzo Impellizzeri
Omaggio a Siracusa
31 maggio - 14 giugno
BENITO SCARNATO PROPHETA IN PATRIA (sua)
I paesaggi di luce di un Sud mai dimenticato e la forza dei colori che scolpiscono le forme, precise e nitide della sua terra.
Benito Scarnato, a sorpresa, dopo decenni di vita vissuta altrove, si rivela alla sua città di origine conducendo tutti noi, attraverso i suoi quadri, nella sua fantastica realtà ideale.
(Salvatore Zito per Galleria Roma)
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Pittore per sentimento ed anche per vocazione. Benito Scarnato giunge qui a Siracusa, tra la sua gente, da artista maturo, insieme ai suoi quadri ancora imballati, ben protetti tra il polistirolo e le morbide carte da imballaggio.
Curiosando tra i cartoni quasi aperti a tratti affiorano piccole porzioni dei suoi lavori che mano mano vanno liberandosi dalle protezioni. Non c’è grafica, non c’è disegno, i tasselli visibili da comporre nel disordine degli imballi sono solo colori, segni di pennello tirato a forza, con energia, sulla tela che appare a tratti, ora ricca della luce del mondo, ora piena di confortanti ombre per un buon riparo dalla forza del cosmo. Luci vive, luci intense, ombre aperte e cariche di ultravioletti in libertà sono l’universo del pittore Benito Scarnato, un universo dove le ombre sono trattate con diffidenza ed il nero escluso, per esaltare la vita ed esorcizzare, forse, il male che non trova posto nell’onirica realtà del pittore.
Le tele, legate al tema del paesaggio, ma non per regola, affrontano soggetti simili o complementari recando ciascuna lo stile personale dell'autore, sono le immagini residenti nella memoria dell’artista, in quel suo immaginario genuino le cui radici ne costituiscono una parte importante a cui, forse, egli deve il dinamismo impresso per le tinte calde, accostate in contrasti vigorosi ma non per questo poco armoniosi.
A suo modo egli è un poeta, dell'atmosfera, delle piante, delle acque, del silenzio, egli coglie e trasferisce sulla tela tutte le vibrazioni cromatiche del mare e delle fronde, che emergono prepotenti e delicate insieme, governate da un tocco sicuro.
Per questo dobbiamo rendere caloroso il nostro benvenuto a Benito Scarnato che a dispetto dei luoghi comuni è oggi con questa sua mostra propheta in patria a Siracusa, la sua città, tra la sua gente.
22 maggio, 2008
21 maggio, 2008
DAL SESTINO ALLA ZAMPOGNA
DAL SESTINO ALLA ZAMPOGNA
La mostra di importanti e rari strumenti musicali che l’Ente Nazionale Tempo Libero, del Movimento Cristiano Lavoratori, propone a Siracusa s’inquadra in un percorso di promozione e valorizzazione delle potenzialità artistiche e culturali presenti nel nostro territorio. È questa la caratteristica più importante che ha sottolineato anche le altre iniziative portate a termine con notevole successo da persone ed associazioni che amano l’arte e la cultura, ma che sopratutto si fanno interpreti dell’ingegno siracusano facendo conoscere cultori dell’arte non sempre abituati alle luci della ribalta. È in questa logica che ho cercato di dare il mio modesto contributo affinché queste iniziative, spesso non adeguatamente supportate dalla collaborazione delle istituzioni, vedessero la luce. Sono difatti convinto che la riscoperta e la valorizzazione del nostro millenario patrimonio artistico e culturale si sostanzia ancora di più se si assicura la giusta continuità attraverso la valorizzazione di quanti, ancora oggi e spesso in solitudine, ne continuano i fasti con la loro arte e la loro intelligente passione. Ecco perché sono convinto che anche questa iniziativa, frutto dell’arte e della passione del musicista Salvatore Mallia, avrà il successo e l’apprezzamento da parte degli appassionati e dei visitatori che saranno sicuramente numerosi.
Pippo Bufardeci
Consigliere comunale Siracusa
18 maggio, 2008
Lucia Arsì e l'Orestea
Galleria Roma, via delle Maestranze
17 maggio 2008
Sull’Orestea
Diverse chiavi di lettura permettono di penetrare la trilogia eschilea e darci la cifra della valenza in termini conoscitivi. Luciano Canfora, storico e grecista, legge il testo in chiave politica oltre che poetica. L’eunomia ossia il buon governo è democratico ed è rispettoso dell’Areopago, la cui competenza autorevole è relativa ai soli reati di sangue, da cui trasse origine( il primo delitto tremendo fu il matricidio di Oreste).La psicanalisi parla di Oreste psicotico, che ha assimilato le mostruose immagini dei parenti originari ( Tantalo e Pelope) che hanno trasmesso ai discendenti le fantasie di frammentazione di cannibalismo e di incesto. A differenza di Agamennone, i figlio Oreste sa recuperare l’aspetto positivo della madre, che non vede più come Erinni ma madre benevola(Eumenide). Dal punto di vista antropologico, la trilogia evidenzia il passaggio dal matriarcato (lex talionis) al patriarcato (lex pattuita).Nell’ambito del sacro, si è sottolineato che il sacrilego Oreste (il sacro è il luogo della profondità, dell’ambiguità, dell’indifferenziato, del caos) e Oreste carnefice-vittima viene salvato dagli stessi dei (Apollo e Atene) che lo avevano irretito e che gli concedono valori e giustizia. L’uomo inconsapevolmente colpevole può venir fuori dalla mainia solo se accompagnato da valori religiosi e sostenuto da dike-giustizia.
La lettura del testo poetico mi avverte che solo se attraversiamo il dolore cogliamo il senso del nostro esistere, e se tentiamo di paragonarci al dio inevitabilmente paghiamo il fio. La sazietà genera tracotanza( ybris) e la sciagura (Ate) deve essere lavata con dolore, espiando.
Lucia Arsì
Nella dimensione del sacro, un sacrilego: Oreste
secondo incontro sul tema
Sabato 17 maggio, h. 18,30
Il Palazzo Bellomo
La Famiglia Bellomo - I Bellomo e la Camera Reginale - Storia del Palazzo Bellomo - Storia del Palazzo Parisio - Leggende e personaggi legati al Palazzo - L'architettura del palazzo - Il cortile delle palme - Edicola catalana - I restauri - Il Museo d'Arte Medievale e Moderna
Conversazione della prof.ssa Mariarosa Malesani
15 Maggio ore 18,30
La tenerezza di Peitho
La tenerezza di Peitho
Lucia Arsì
15 maggio, 2008
Nella dimensione del sacro, un sacrilego: Oreste
Galleria Roma
via Maestranza 110
Siracusa
Sabato 17 maggio, h. 18,30
secondo incontro sul tema
"Nella dimensione del sacro, un sacrilego: Oreste "
a cura di Lucia Arsì
intermezzo musicale del duo "TWONIGHT "
14 maggio, 2008
Se potessi avere tre lettere senza raccomandazione
La vecchia canzone intitolata “Mille lire al mese” da più parti è stata criticata per il suo essere uno specchio di una Italietta, che avrebbe portato, di lì a qualche anno – da un lato al “borghese piccolo piccolo”, capace di vendere l’anima per ottenere il posto fisso per il figlio, un padre pronto a buttarsi a capofitto in giochi – massonici – molto più grandi di lui; un padre pronto a divenire un “uomo fidato” e a cambiare partito politico cercando di interpretare il cambio di giornale – l’Unità o il Corriere della Sera – da parte del capoufficio. Dall’altro al borghese senza dignità, il Ragionier Ugo Fantozzi, punito per la sua intima renitenza all’autodeterminazione, per la sua incapacità di ribellarsi efficacemente, e in fondo per il suo “amore per il carnefice” che ha ispirato tanta psicologia spicciola e da ombrellone.
Qualcuno dovrebbe pur fermare l’ondata di leziosità e scemenze che si dicono intorno a chi cerca un lavoro – magari tale da poter consentire una qualche base per costruire e portare avanti dei progetti, senza pretese.
In realtà bastano solo tre lettere per ottenere un lavoro.
Nessuna di queste, fra l’altro, indugia verso la pratica italiota della raccomandazione – italiota, perché meridionale, certo; queste cose al Nord, non accadrebbero mai se non ci fossero… Insomma, se non fossero arrivati dal Sud… Beh, credo sia chiaro quale sia il neo del Nord in tutto il suo candore.
Tre lettere all’apparenza misteriose, forse al primo sguardo tanto innocue da sembrare cadute lì da chissà quale errore di tastiera: “p r k”.
Gli amanti degli enigmi non sciolgano il dubbio con le vecchie sigle, modellando un “Partito Repubblicano Kombattente”, memore di un ben più triste “Partito Komunista Kombattente” che si è macchiato di stragi e sangue. Qui il sangue non c’entra, anche se la Repubblica potrebbe invece entrare nel discorso.
“Prk” – per la precisione pṛk, tanto per non scontentare nessuno – è la radice indoeuropea di una voce latina che si chiama “prex”. Se il termine non dice nulla, vuol dire che bisognerebbe tornare alla messa in latino, e risentire le “preces” del rosario, e il “Precor, Deus meus”, che si intonavano fino al Concilio dentro le chiese.
Il fatto è che “prex” è la madre – in molti sensi – dell’aggettivo “precarius”: la “preghiera” infatti si riferisce anche a quelle cose che “si ottengono con le preghiere”; e per questo sono appunto precarie.
Dunque se uno spazio è piccolo da gestire e la convivenza difficile, sarà detto “precario”, come un equilibrio pronto a disfarsi, pronto a evolvere verso una caduta; e per questo motivo, anche un andamento zoppicante, a scatti e senza possibilità di prevedere una certa regolarità, sarà definito precario. Non si prevede bene nulla, se la regolarità dell’erogazione è affidata a qualcosa di instabile e destinato, forse, a mancare.
Insomma, le raccomandazioni, per il lavoro, non servono: bastano le preghiere.
Mosé
Una Collezione d'Arte per il Giudice Rosario Livatino
Filmato realizzato da Salvo Trommino in occasione della dedica dell'Aula Magna del Quinto Istituto Comprensivo di Siracusa, al giudice Rosario Livatino
13 maggio, 2008
11 maggio, 2008
Concerto di Salvatore Zito per "Oreste" Seconda parte
Riprese ed elaborazioni video di Salvo Trommino
09 maggio, 2008
Salvatore Zito in concerto - Prima Parte
Filmato realizzato da Salvatore Trommino il 3 maggio 2008, nei locali della Galleria Roma in via Maestranza 110,
in occasione della coversazione
" Nella dimensione del sacro, un sacrilego: Oreste".
Della prof.Lucia Arsì.
Intervento della prof. Maria Teresa Asaro.
Esibizione musicale di Salvatore Zito
Lucia Arsì sull'Orestiade
Siracusa frequenta il Teatro greco perché sa di non sapere.
Impressioni di Lucia Arsì sull’imminente evento che coinvolge la nostra Città: l'Orestiade
Stamani, nell’ambito del Convegno sul XLIV° ciclo di Rappresentazioni Classiche, nel salone dell’Inda abitato dagli eminenti frequentatori del mondo greco, ho conosciuto e ascoltato il regista dell’Orestea, Pietro Carriglio. Scorgo un uomo che definirei normale per l’attività che svolge:lunghi e sfidanti capelli bianchi, cipiglio austero, voce roca, accento siculo. Poi, solo dopo qualche minuto, la ri-velazione. Tenerezza, ansie, paure, la preoccupazione che è propria di chi sa di non sapere ( guai se pensasse di possedere in toto la verità!).Ed è riuscito a trasmettermi le sue emozioni.“ Non vi aspettate troppo- ha dichiarato- sono convinto che potrei fare bene Eschilo, ma dopo”. Dopo aver attraversato in lungo e in largo le parole del grande tragediografo, che lo ha condotto nel tortuoso percorso del labirinto della vita, ove la luce è accompagnata dal dolore in modo persistente, il regista denuncia la sua perplessità a dare forma al mistero della vita, a tale rito perpetuo che tocca l’essenza di ogni uomo, gli offre il senso del suo essere qui anche se non lo aiuta a risolverlo. Il rito del resto, presente nella nostra Città come culto e come mito, diventa sistema, forma religiosa, transito verso l’altrove e la comunità, che partecipa intensamente all’esperienza drammatica e religiosa della morte, ne ottiene passaporto di salvazione. Si salva chi sa, sa che tutti siamo limitati e transeunti. E chi soffre, colui che vive il pathos (inteso come esperienze emozionali che vagolano nel cosmo ove la energia primaria è l’ordinato logos) sa. E scopriamo dalla poesia di Eschilo (l’autore di Derveni, in un frustolo, afferma che poiesis è legein e didaskein, ossia l’agere cultuale usa un dire che è insegnamento) che vendetta e giustizia seguono lo stesso binario, dato che l’uomo usa la violenza, opera il male, sacrifica ciò che di più importante custodisce (il padre sacrifica la figlia, la moglie il marito, il figlio la madre, etc) in un attimo di partecipazione cosmica con l’indifferenziato (il sacro), e poi, poi attende un tribunale giusto che lo aiuti a tornare in sé, ed è la giustizia che sa comporre la coscienza virile apollinea (prima esageratamente maschilista nell’affermare che la donna è un semplice contenitore) con la tenerezza emotiva del femminile rappresentata da Atena, in cui immagino la maternità della Madonna (al modo dell’eminente prof. Petersmann, venuto a Siracusa nell’anno 1990 ad intrattenerci sull’Orestea con la dolcezza e la religiosità che caratterizzano il Dirigente della scuola gesuita di Heidelberg ). Possibile scollarsi da quella casa infetta e grondante sangue? No, rispondo decisamente. Dato che gli Atridi rappresentano e ripropongono l’immagine primaria, il paradigma del nostro essere in questo mondo. La lex talionis vige tuttora nella nostra isola. La vendetta mafiosa resiste. E il tribunale con le sue leggi sante nasce per ri-vendicare il ruolo del carnefice. La differenza sta nella vendetta ordinata, regolata, misurata. Il nostro teatro, echeggiando tali dolorosi eventi che impregnano l’uomo da sempre e per sempre, sa che nulla cambierà, sa anche che illuminare le coscienze ne vale la pena. La morte-spettacolo non ci appartiene. Ora tutti a teatro, per emozionarci, per sentire la frequenza dei nostri battiti mentre il dolore ci attanaglia!
07 maggio, 2008
FLOS, LUX
10-20 maggio
FLOS, LUX
L’enigma del fiore e della luce nell’opera di Rosario Fortuna
«E un fiore è negli orti dell'uomo:/sale la delizia del sangue da fili/di porpora a le foglie, batte/nei petali e la corolla/s'apre al verace respiro;/ma si ferisce la mano/che la coglie e gioia e dolore/chiude l'istesso cerchio./Ma qui consumano l'ore/l'erranti clessidre di spuma/e d'aria» (Lucio Piccolo, Terza Esperide).
Auspice Lucio Piccolo barone di Calanovella, poeta-veggente, una delle espressioni poetiche più originali e complesse del Novecento, propiziamo questo percorso nell’”orto” cui Rosario Fortuna ha dato vita con la sua pittura.
Il fiore è una transduzione della solitudine, dello scontro tra visibilità metafisica e contingenza estrema della realtà. Ma Rosario Fortuna proietta tale percorso nella dimensione pittorica, lungo uno sfumato pervadente e onirico, reso struggente dalla brumosa atmosfera di doglianza e da chiarità impalpabili, da quelle imperscrutabili percezioni del colore che, sole, sanno restituirci la realtà e la natura in modo “autre”. E quando il percorso, nella sua inesorabile anabasi, ci inizia alle meraviglie di questo “giardino”, non possiamo non ritrovarci tra i petali della "ninfea" di Ibn Hamdis e i suoi profumi. E’ la pittura di Rosario Fortuna a restituirci questo giardino nella essenzialità del suo disegno biologico, quasi fuor dagli orpelli, condizionato dall’erosiva tempra dei verdi e dall’occhio candido del fiore navigante, in triste oscillazione, sulle acque della memoria e della visione interiore.
L’artista seduce e blandisce con le sue cromie, con i suoi impasti di luce e di colore, con le sue forme sinuose ed avvolgenti. Sembra spingerci nel gioco inarrestabile e trascinatore della visione, della contemplazione attiva del paesaggio, entrando nel ritmo intimo delle cose, nella vastità interagente della realtà naturale, nelle recettive scansioni della dimensione evocativa che promana da ogni evocazione floreale. Costruisce, lentamente, un percorso poetico-pittorico, che ci trascina in una dimensione ripida e coinvolgente. Disordine e trasformazione delle forme – evocate, quasi, dai versi del veggente Piccolo – che si condensano e riposano, con ampia rapidità espressiva, nell’incanto della visione che Fortuna propizia al nostro sguardo.
Cromie sognanti e voluttuose segnano questa ancestrale enciclopedia floreale, in tutta la loro fascinazione, in un travaso d’impressioni pigmentarie ove la lezione figurativa, assunta con vezzeggiati rimandi, si fa cocente di germinazioni, trasportate dai venti del corpo pittorico, votata dai mantelli del giallo, del verde e del rosso – nella declinazione infinita delle loro timbrature - approdata, senza forzature, nelle pieghe di una letterarietà di capace suggestione lirica ed emozionale.
In questo percorso, Rosario Fortuna riesce a cogliere l’intimità del fiore, quel fluire di toni, colori, chiarità, profumi e, allo stesso tempo, oscuri, profondi, carsici, inquietanti, volitivi, colmi di lirica pregnanza: «E s’aprono i fiori notturni…».
La condizione, diremmo storica e mitografica della mediterraneità, sembra sostanziarsi in questa esposizione di Rosario Fortuna, nella levità di un raggio, affiorato dalla perizia emotiva dell’artista, pervaso da metafisiche pennellature, e che si attesta, all’unisono, nella dimensione della visione e della parola, che celebrano un universo magico, colto in arcane e commosse partecipazioni alla visione, filtrate negli elementi essenziali della terra e dell’anima, del cielo e della corporea naturalità.
Con “Flos, Lux…” Rosario Fortuna tesse la sua poetica del paesaggio interiore, simbolico, mitopoietico, percorso da un impressionismo toccante, modellato nella intensa cromia delle timbrature siciliane, che si coagulano nella filtrata luce racchiusa nello scrigno della storia, di un luogo.
L’esperienza artistica di Rosario Fortuna si proietta, sicché, nello scenario dilatato d’una fantasia sempre riconquistata, nella ricerca d’una rasserenante sponda di riflessione, d’una calma contemplativa ed esistenziale. Forse irraggiungibili.
Inaugurazione Mostra"Modelli Navali"di Carmelo Minimo
Filmato realizzato da Salvo Trommino in occasione della mostra di Carmelo Minimo
04 maggio, 2008
nella dimensione del sacro, un sacrilego: Oreste
E' intervenuta la prof. Maria Teresa Asaro.
Esibizione musicale di Salvatore Zito
Oreste e ancor prima la madre Clitennestra e il padre Agamennone e, andando più indietro nel tempo, Atreo e Pelope e Tantalo( la genìa dei Pelopidi) sono immagini, mirabilmente rappresentati dai tragediografi greci, dell’ambiguità aporetica che tocca l’uomo nelle sue radici e ne fa un carnefice/vittima. L’uomo, che inevitabilmente torna all’indifferenziato, al caotico, allo smisurato (la dimensione del sacro), ubbidiente a forze extraumane (gli dei greci) o alla dimensione irrazionale, al punto da sacrificare (folle) le persone più care( Agamennone la figlia, Clitennestra il marito, Oreste la madre) diviene vittima sacrificale, e pertanto da venerare e da esecrare, la cui salvezza dalle Erinni (le furie vendicatrici o il senso di colpa) dipenderà dal processo di espiazione che arcaicamente avveniva tramite riti di purificazione( Apollo versa il sangue di un porcellino per purificare Oreste)o dal ritorno all’ordine mediante la legge. E la vendetta, che sia voluta da un dio o dal desiderio di sazietà mai soddisfatta, o dalla violenza naturale che prende il sopravvento, nell’etica arcaica si esercitava tramite la lex talionis, che nell’Orestea, così mi piace chiamare la trilogia eschilea, sarà sostituita dalla legge regolatrice, quella che sa ascoltare l’accusa e la difesa, quella che si esercita nel tribunale, nell’Areopago, l’antico tribunale ateniese ove si giudicavano i delitti di sangue.
Quanta parte- mi chiedo- ha l’uomo e quanta ne ha la divinità sull’uomo nell’esercizio della violenza? Per il religiosissimo Eschilo gli Dei accompagnano l’uomo nel viaggio verso il male perché dalla sofferenza nasce la conoscenza ( pathei mathos); dal rapporto diretto con il mondo, dalle percezioni legate alle cose e agli uomini, dal connubio fra ragione mente e cuore, osserviamo noi.
Lucia Arsì