30 maggio, 2008

Siracusanteprima Teatro

Continuano le conversazioni teatrali attinenti la rappresentazione classica in programma la sera stessa in teatro tenute da, Mariarosa Malesani e Nora Romano , operatori culturali del territorio con l'intento di interessare, incuriosire e divertire il pubblico presente

CONTATTI
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27 maggio, 2008

Chiesa di Santa Maria della Concezione Siracusa

26 maggio, 2008

I giovedì della Galleria

CONVERSAZIONE
SULLA FOTOGRAFIA
CON SALVATORE ZITO
STORIA TECNICA AUTORI E QUALCOS’ALTRO

Galleria Roma
via Maestranza 110 Siracusa
Giovedì 29 maggio 2008 – ore 18,30

Parlare di fotografia, nell’accezione più ampia del termine, in un breve incontro non può che cogliere solo qualche aspetto, storico o tecnico che sia. Sta di fatto che il mondo delle immagini fotografiche ha di per sé un fascino irresistibile di cui se ne può fare oggetto di piacevole conversazione per un pomeriggio quasi estivo quando ancora il caldo non ha stordito del tutto le nostre menti. Si faranno alcuni accenni alla storia della Fotografia, narrandone i presupposti e i protagonisti, si parlerà dei movimenti fotografici nati qua e là nel mondo, il loro concettualismo e il rapporto con le arti ufficiali. Infine, a condire il tutto, non guasterà qualche accenno alla tecnica, elemento la cui conoscenza è indispensabile per un’arte necessariamente soggetta all’uso di uno strumento. Nel corso della conversazione verranno proiettate immagini di famosi fotografi che accompagneranno il commento storico tecnico.

Argomenti trattati:

Le origini della fotografia
I movimenti fotografici
La manipolazione della luce
La fotografia attuale

"La tenerezza di Peitho"


Galleria Roma
vernissage della mostra
"La tenerezza di Peitho"
di Tomie Nomiya
presentazione di Lucia Arsì
24 maggio 2008

Omaggio a Siracusa



Palazzo Impellizzeri
via Maestranza 99 Siracusa
Omaggio a Siracusa
personale di
Benito Scarnato
31 maggio - 14 giugno

BENITO SCARNATO PROPHETA IN PATRIA (sua)

I paesaggi di luce di un Sud mai dimenticato e la forza dei colori che scolpiscono le forme, precise e nitide della sua terra.
Benito Scarnato, a sorpresa, dopo decenni di vita vissuta altrove, si rivela alla sua città di origine conducendo tutti noi, attraverso i suoi quadri, nella sua fantastica realtà ideale.

(Salvatore Zito per Galleria Roma)
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Pittore per sentimento ed anche per vocazione. Benito Scarnato giunge qui a Siracusa, tra la sua gente, da artista maturo, insieme ai suoi quadri ancora imballati, ben protetti tra il polistirolo e le morbide carte da imballaggio.
Curiosando tra i cartoni quasi aperti a tratti affiorano piccole porzioni dei suoi lavori che mano mano vanno liberandosi dalle protezioni. Non c’è grafica, non c’è disegno, i tasselli visibili da comporre nel disordine degli imballi sono solo colori, segni di pennello tirato a forza, con energia, sulla tela che appare a tratti, ora ricca della luce del mondo, ora piena di confortanti ombre per un buon riparo dalla forza del cosmo. Luci vive, luci intense, ombre aperte e cariche di ultravioletti in libertà sono l’universo del pittore Benito Scarnato, un universo dove le ombre sono trattate con diffidenza ed il nero escluso, per esaltare la vita ed esorcizzare, forse, il male che non trova posto nell’onirica realtà del pittore.
Le tele, legate al tema del paesaggio, ma non per regola, affrontano soggetti simili o complementari recando ciascuna lo stile personale dell'autore, sono le immagini residenti nella memoria dell’artista, in quel suo immaginario genuino le cui radici ne costituiscono una parte importante a cui, forse, egli deve il dinamismo impresso per le tinte calde, accostate in contrasti vigorosi ma non per questo poco armoniosi.
A suo modo egli è un poeta, dell'atmosfera, delle piante, delle acque, del silenzio, egli coglie e trasferisce sulla tela tutte le vibrazioni cromatiche del mare e delle fronde, che emergono prepotenti e delicate insieme, governate da un tocco sicuro.
Per questo dobbiamo rendere caloroso il nostro benvenuto a Benito Scarnato che a dispetto dei luoghi comuni è oggi con questa sua mostra propheta in patria a Siracusa, la sua città, tra la sua gente.

22 maggio, 2008

FOTOGRAFIA

giovedì 29 maggio ore 18,30
CONVERSAZIONE SULLA FOTOGRAFIA
con Salvatore Zito

21 maggio, 2008

DAL SESTINO ALLA ZAMPOGNA









DAL SESTINO ALLA ZAMPOGNA

La mostra di importanti e rari strumenti musicali che l’Ente Nazionale Tempo Libero, del Movimento Cristiano Lavoratori, propone a Siracusa s’inquadra in un percorso di promozione e valorizzazione delle potenzialità artistiche e culturali presenti nel nostro territorio. È questa la caratteristica più importante che ha sottolineato anche le altre iniziative portate a termine con notevole successo da persone ed associazioni che amano l’arte e la cultura, ma che sopratutto si fanno interpreti dell’ingegno siracusano facendo conoscere cultori dell’arte non sempre abituati alle luci della ribalta. È in questa logica che ho cercato di dare il mio modesto contributo affinché queste iniziative, spesso non adeguatamente supportate dalla collaborazione delle istituzioni, vedessero la luce. Sono difatti convinto che la riscoperta e la valorizzazione del nostro millenario patrimonio artistico e culturale si sostanzia ancora di più se si assicura la giusta continuità attraverso la valorizzazione di quanti, ancora oggi e spesso in solitudine, ne continuano i fasti con la loro arte e la loro intelligente passione. Ecco perché sono convinto che anche questa iniziativa, frutto dell’arte e della passione del musicista Salvatore Mallia, avrà il successo e l’apprezzamento da parte degli appassionati e dei visitatori che saranno sicuramente numerosi.
Pippo Bufardeci
Consigliere comunale Siracusa


Salvatore Mallia è un appassionato amante della musica. Bravo sassofonista e flautista, esperto conoscitore di strumenti musicali, animatore di gruppi musicali e Maestro di Corpi Bandistici, insegnante di musica, compositore e finissimo esecutore di brani della tradizione classica e di quella tradizionale siciliana, Mallia possiede oggi una delle collezioni di strumenti musicali più numerose e qualitativamente più interessanti della Sicilia. Quelli che vengono esposti nella mostra di Siracusa, sono una parte di questa prestigiosa collezione e sono riferibili in massima parte alla produzione strumentistica del novecento, anche se alcuni pezzi risalgono a qualche secolo prima. Provengono da quasi tutti i continenti e sono il frutto di donazioni, acquisti, ricerche e trattative condotte dal Maestro pachinese con altri suoi colleghi o con costruttori, come nel caso della zampogna e della ciaramella, acquistate da un artigiano dell’Abruzzo. Il primo strumento avuto da bambino fu un clarinetto piccolo in la bemolle, comunemente chiamato “sestino”; poi, “a 12 anni – scrive Mallia -con il ricavato di 40 giorni di vendemmia, acquistai il mio primo saxofono tenore usato; dopo pochi giorni entrai a far parte di un gruppo di musica leggera denominato “The Latin Lovers“. Dopo alcuni mesi avevo imparato a suonare la chitarra, il basso e cominciavo ad accompagnare alcuni brani con la batteria, strumenti che nel giro di pochi anni rimasero nella mia stanzetta, dato che per motivi di studio i miei amici andarono in Piemonte e vi rimasero. Nel giro di pochi anni avevo riempito la mia stanzetta e il salotto dei miei genitori di strumenti a fiato della tradizione bandistica occidentale e di strumenti a corda ed a percussione (tipici dei gruppi musicali degli anni 60).” Da quegli anni in poi la collezione si arricchisce sempre di più e anche lo studio della musica si fa più intenso e qualificato, fino al diploma presso il Liceo Musicale “V. Bellini” di Catania. Acquista il suo primo clarinetto in si bemolle professionale, un Buffet Boehm completo che gli permise di completare gli studi musicali ed entra a far parte del Corpo Musicale Città di Siracusa in qualità di 1° Clarinetto, ruolo che ricopre ancora oggi. Nel 1990 e nel 1991, Salvo Mallia si reca per un mese in Zaire (attuale Congo), in una missione umanitaria intrapresa con una comunità religiosa di Pachino, accompagnati da padre Salvatore Giurdanella. “Qui, – mi dice Mallia – fu notato il mio amore per la musica e mi furono regalati alcuni strumenti che conservo gelosamente. Durante il viaggio di ritorno ebbi l’occasione di acquistarne altri in Burundi e Ruanda (strumenti etnici della cultura sud sahariana). Dopo qualche anno, con il Corpo bandistico Città di Siracusa, ebbi l’occasione di effettuare una tournee in Argentina, qui comprai altri strumenti etnici della tradizione andina (Charrango e vari flauti). Durante una tournee in Spagna acquistai 2 coppie di nacchere artigianali.” In ogni città d’Europa e d’America dove Salvo Mallia si è recato per suonare ha acquistato uno strumento tipico del luogo; a volte prezioso e raro, altre volte più comune e di modesto valore: ciò che conta è possedere questi segni della civiltà musicale dei popoli che visita, per gustare suoni e timbri nuovi e strani, capaci di rievocare sentimenti e passioni di genti lontane nel tempo e nello spazio.

Corrado Di Pietro

18 maggio, 2008

Lucia Arsì e l'Orestea


Lucia Arsì e l'Orestea ( lettura critica)
Galleria Roma, via delle Maestranze
17 maggio 2008

Sull’Orestea

Diverse chiavi di lettura permettono di penetrare la trilogia eschilea e darci la cifra della valenza in termini conoscitivi. Luciano Canfora, storico e grecista, legge il testo in chiave politica oltre che poetica. L’eunomia ossia il buon governo è democratico ed è rispettoso dell’Areopago, la cui competenza autorevole è relativa ai soli reati di sangue, da cui trasse origine( il primo delitto tremendo fu il matricidio di Oreste).La psicanalisi parla di Oreste psicotico, che ha assimilato le mostruose immagini dei parenti originari ( Tantalo e Pelope) che hanno trasmesso ai discendenti le fantasie di frammentazione di cannibalismo e di incesto. A differenza di Agamennone, i figlio Oreste sa recuperare l’aspetto positivo della madre, che non vede più come Erinni ma madre benevola(Eumenide). Dal punto di vista antropologico, la trilogia evidenzia il passaggio dal matriarcato (lex talionis) al patriarcato (lex pattuita).Nell’ambito del sacro, si è sottolineato che il sacrilego Oreste (il sacro è il luogo della profondità, dell’ambiguità, dell’indifferenziato, del caos) e Oreste carnefice-vittima viene salvato dagli stessi dei (Apollo e Atene) che lo avevano irretito e che gli concedono valori e giustizia. L’uomo inconsapevolmente colpevole può venir fuori dalla mainia solo se accompagnato da valori religiosi e sostenuto da dike-giustizia.
La lettura del testo poetico mi avverte che solo se attraversiamo il dolore cogliamo il senso del nostro esistere, e se tentiamo di paragonarci al dio inevitabilmente paghiamo il fio. La sazietà genera tracotanza( ybris) e la sciagura (Ate) deve essere lavata con dolore, espiando.
Lucia Arsì

Nella dimensione del sacro, un sacrilego: Oreste


Galleria Roma via Maestranza 110
secondo incontro sul tema
Nella dimensione del sacro, un sacrilego: Oreste
a cura di Lucia Arsì
intermezzo musicale del duo "TWONIGHT "
Sabato 17 maggio, h. 18,30

Il Palazzo Bellomo

Il Palazzo Bellomo
La Famiglia Bellomo - I Bellomo e la Camera Reginale - Storia del Palazzo Bellomo - Storia del Palazzo Parisio - Leggende e personaggi legati al Palazzo - L'architettura del palazzo - Il cortile delle palme - Edicola catalana - I restauri - Il Museo d'Arte Medievale e Moderna
Conversazione della prof.ssa Mariarosa Malesani
15 Maggio ore 18,30

La tenerezza di Peitho



La tenerezza di Peitho
mostra personale di Tomie Nomya
24 maggio 3 giugno 2008

Le linee e i colori delle tele di Tomie sanno interpellare gli astanti e rivelare il loro mondo. Ma quale mondo? Quello pregno di tenerezza, di grazia. Eh, sì! Al modo di Peitho, Persuasione, collaborata da Afrodite, Bellezza carica di Grazia, e da Atena, la dea vergine che mira all’ordine razionale, l’Artista intende offrire la “grazia ordinata” della Natura, i cui aspetti propositivi mirano al movimento, ma anche alla stabilità. Un percorso vitale, in eterno fieri, ma che si consolida nel raggiungimento della domus, della patria, luogo di stabilità, di completezza, ove termina l’iter non particolarmente faticoso. E allora il verde allude alla speranza, che non è illusione quale categoria negativa( così Esiodo quando nel vaso di Pandora lasciò in fondo, tra tutti i mali, la speranza ); per Tomie la speranza è la greca elpìs, la luce illuminante che fomenta le energie psichiche ed offre certezza alle finalità.E le scarpette, adagiate in un canto, non simboleggiano la fatica della ricerca, esprimono con rigore la quotidianità della vita, che regola l’uomo e la specie, che misura i legami, che vigila sulla famiglia( il padre e i figli) e che suggerisce il “nulla di troppo”.Le facce tonde e sorridenti, ove la luce parla di vita degna di essere vissuta, i campi fertili, il lago, le case composte e non tragicamente tormentate, immettono in un luogo-non luogo, in un’isola beata che sicuramente esiste nella realtà( la Nostra è nostalgica del futuro) ma che l’uomo”qualunque” difficilmente saprebbe reperire, particolarmente oggi.E mi emoziono al pensiero della sua mano che ha ubbidito ad un’animo fragile e che ha attraversato le barriere dello spazio e del tempo. Emoziona - nell’oggi carico di divina indifferenza, di passioni spente, di anestetizzazione - una persona leggera leggera, carica di divino entusiasmòs, la quale sa rappresentare immagini salvifiche: c’è un lago conclusus; c’è un vecchio che sosta e ascolta il canto degli uccelli e osserva giochi puerili. E chi è il senex se non colui che con spirito da puer volge lo “sguardo” sugli eventi da lui esperiti?. Il messaggio di Tomie arriva. “Il vecchio forse non può dire nulla. Ma la sua vecchiaia indica. Il vecchio è colui nel quale la vita è finita. Ma quale vita? La vita funzionale, la vita dei ruoli, la vita che passa attraverso il “permesso” di vivere concesso dalla società a certi patti. Ma è dopo tutto questo che resta la vita, la bellezza del vivere per nessuno scopo. Del vivere per vivere”, così scrive il filosofo Manlio Sgalambro. E i quadri dell’Artista, creando relazione, suscitando emozioni, stimolando riflessioni, suggeriscono il “mistero”della vita, mentre la sua arte, proprio perché esercitata da un animo nobile, diventa passaporto di salvazione. Grazie Tomie.

Lucia Arsì

15 maggio, 2008

Nella dimensione del sacro, un sacrilego: Oreste


Galleria Roma
via Maestranza 110
Siracusa
Sabato 17 maggio, h. 18,30
secondo incontro sul tema
"Nella dimensione del sacro, un sacrilego: Oreste "
a cura di Lucia Arsì
intermezzo musicale del duo "TWONIGHT "

14 maggio, 2008

Se potessi avere tre lettere senza raccomandazione

La vecchia canzone intitolata “Mille lire al mese” da più parti è stata criticata per il suo essere uno specchio di una Italietta, che avrebbe portato, di lì a qualche anno – da un lato al “borghese piccolo piccolo”, capace di vendere l’anima per ottenere il posto fisso per il figlio, un padre pronto a buttarsi a capofitto in giochi – massonici – molto più grandi di lui; un padre pronto a divenire un “uomo fidato” e a cambiare partito politico cercando di interpretare il cambio di giornale – l’Unità o il Corriere della Sera – da parte del capoufficio. Dall’altro al borghese senza dignità, il Ragionier Ugo Fantozzi, punito per la sua intima renitenza all’autodeterminazione, per la sua incapacità di ribellarsi efficacemente, e in fondo per il suo “amore per il carnefice” che ha ispirato tanta psicologia spicciola e da ombrellone.

Qualcuno dovrebbe pur fermare l’ondata di leziosità e scemenze che si dicono intorno a chi cerca un lavoro – magari tale da poter consentire una qualche base per costruire e portare avanti dei progetti, senza pretese.

In realtà bastano solo tre lettere per ottenere un lavoro.

Nessuna di queste, fra l’altro, indugia verso la pratica italiota della raccomandazione – italiota, perché meridionale, certo; queste cose al Nord, non accadrebbero mai se non ci fossero… Insomma, se non fossero arrivati dal Sud… Beh, credo sia chiaro quale sia il neo del Nord in tutto il suo candore.

Tre lettere all’apparenza misteriose, forse al primo sguardo tanto innocue da sembrare cadute lì da chissà quale errore di tastiera: “p r k”.

Gli amanti degli enigmi non sciolgano il dubbio con le vecchie sigle, modellando un “Partito Repubblicano Kombattente”, memore di un ben più triste “Partito Komunista Kombattente” che si è macchiato di stragi e sangue. Qui il sangue non c’entra, anche se la Repubblica potrebbe invece entrare nel discorso.

“Prk” – per la precisione pk, tanto per non scontentare nessuno – è la radice indoeuropea di una voce latina che si chiama “prex”. Se il termine non dice nulla, vuol dire che bisognerebbe tornare alla messa in latino, e risentire le “preces” del rosario, e il “Precor, Deus meus”, che si intonavano fino al Concilio dentro le chiese.

Il fatto è che “prex” è la madre – in molti sensi – dell’aggettivo “precarius”: la “preghiera” infatti si riferisce anche a quelle cose che “si ottengono con le preghiere”; e per questo sono appunto precarie.

Dunque se uno spazio è piccolo da gestire e la convivenza difficile, sarà detto “precario”, come un equilibrio pronto a disfarsi, pronto a evolvere verso una caduta; e per questo motivo, anche un andamento zoppicante, a scatti e senza possibilità di prevedere una certa regolarità, sarà definito precario. Non si prevede bene nulla, se la regolarità dell’erogazione è affidata a qualcosa di instabile e destinato, forse, a mancare.

Insomma, le raccomandazioni, per il lavoro, non servono: bastano le preghiere.

Mosé

Una Collezione d'Arte per il Giudice Rosario Livatino

Filmato realizzato da Salvo Trommino in occasione della dedica dell'Aula Magna del Quinto Istituto Comprensivo di Siracusa, al giudice Rosario Livatino

13 maggio, 2008

Dal Sestino alla Zampogna

Salvo Mallia e la sua collezione di strumenti musicali
salone dell'Hotel Roma
dal 24 al 31 maggio

09 maggio, 2008

Salvatore Zito in concerto - Prima Parte




Filmato realizzato da Salvatore Trommino il 3 maggio 2008, nei locali della Galleria Roma in via Maestranza 110,
in occasione della coversazione
" Nella dimensione del sacro, un sacrilego: Oreste".
Della prof.Lucia Arsì.
Intervento della prof. Maria Teresa Asaro.
Esibizione musicale di Salvatore Zito

"Orestiade"


Foto di Marika Cassone

Lucia Arsì sull'Orestiade


Siracusa frequenta il Teatro greco perché sa di non sapere.

Impressioni di Lucia Arsì sull’imminente evento che coinvolge la nostra Città: l'Orestiade

Stamani, nell’ambito del Convegno sul XLIV° ciclo di Rappresentazioni Classiche, nel salone dell’Inda abitato dagli eminenti frequentatori del mondo greco, ho conosciuto e ascoltato il regista dell’Orestea, Pietro Carriglio. Scorgo un uomo che definirei normale per l’attività che svolge:lunghi e sfidanti capelli bianchi, cipiglio austero, voce roca, accento siculo. Poi, solo dopo qualche minuto, la ri-velazione. Tenerezza, ansie, paure, la preoccupazione che è propria di chi sa di non sapere ( guai se pensasse di possedere in toto la verità!).Ed è riuscito a trasmettermi le sue emozioni.“ Non vi aspettate troppo- ha dichiarato- sono convinto che potrei fare bene Eschilo, ma dopo”. Dopo aver attraversato in lungo e in largo le parole del grande tragediografo, che lo ha condotto nel tortuoso percorso del labirinto della vita, ove la luce è accompagnata dal dolore in modo persistente, il regista denuncia la sua perplessità a dare forma al mistero della vita, a tale rito perpetuo che tocca l’essenza di ogni uomo, gli offre il senso del suo essere qui anche se non lo aiuta a risolverlo. Il rito del resto, presente nella nostra Città come culto e come mito, diventa sistema, forma religiosa, transito verso l’altrove e la comunità, che partecipa intensamente all’esperienza drammatica e religiosa della morte, ne ottiene passaporto di salvazione. Si salva chi sa, sa che tutti siamo limitati e transeunti. E chi soffre, colui che vive il pathos (inteso come esperienze emozionali che vagolano nel cosmo ove la energia primaria è l’ordinato logos) sa. E scopriamo dalla poesia di Eschilo (l’autore di Derveni, in un frustolo, afferma che poiesis è legein e didaskein, ossia l’agere cultuale usa un dire che è insegnamento) che vendetta e giustizia seguono lo stesso binario, dato che l’uomo usa la violenza, opera il male, sacrifica ciò che di più importante custodisce (il padre sacrifica la figlia, la moglie il marito, il figlio la madre, etc) in un attimo di partecipazione cosmica con l’indifferenziato (il sacro), e poi, poi attende un tribunale giusto che lo aiuti a tornare in sé, ed è la giustizia che sa comporre la coscienza virile apollinea (prima esageratamente maschilista nell’affermare che la donna è un semplice contenitore) con la tenerezza emotiva del femminile rappresentata da Atena, in cui immagino la maternità della Madonna (al modo dell’eminente prof. Petersmann, venuto a Siracusa nell’anno 1990 ad intrattenerci sull’Orestea con la dolcezza e la religiosità che caratterizzano il Dirigente della scuola gesuita di Heidelberg ). Possibile scollarsi da quella casa infetta e grondante sangue? No, rispondo decisamente. Dato che gli Atridi rappresentano e ripropongono l’immagine primaria, il paradigma del nostro essere in questo mondo. La lex talionis vige tuttora nella nostra isola. La vendetta mafiosa resiste. E il tribunale con le sue leggi sante nasce per ri-vendicare il ruolo del carnefice. La differenza sta nella vendetta ordinata, regolata, misurata. Il nostro teatro, echeggiando tali dolorosi eventi che impregnano l’uomo da sempre e per sempre, sa che nulla cambierà, sa anche che illuminare le coscienze ne vale la pena. La morte-spettacolo non ci appartiene. Ora tutti a teatro, per emozionarci, per sentire la frequenza dei nostri battiti mentre il dolore ci attanaglia!



07 maggio, 2008

FLOS, LUX


10-20 maggio
FLOS, LUX
L’enigma del fiore e della luce nell’opera di Rosario Fortuna

«E un fiore è negli orti dell'uomo:/sale la delizia del sangue da fili/di porpora a le foglie, batte/nei petali e la corolla/s'apre al verace respiro;/ma si ferisce la mano/che la coglie e gioia e dolore/chiude l'istesso cerchio./Ma qui consumano l'ore/l'erranti clessidre di spuma/e d'aria» (Lucio Piccolo, Terza Esperide).
Auspice Lucio Piccolo barone di Calanovella, poeta-veggente, una delle espressioni poetiche più originali e complesse del Novecento, propiziamo questo percorso nell’”orto” cui Rosario Fortuna ha dato vita con la sua pittura.
Il fiore è una transduzione della solitudine, dello scontro tra visibilità metafisica e contingenza estrema della realtà. Ma Rosario Fortuna proietta tale percorso nella dimensione pittorica, lungo uno sfumato pervadente e onirico, reso struggente dalla brumosa atmosfera di doglianza e da chiarità impalpabili, da quelle imperscrutabili percezioni del colore che, sole, sanno restituirci la realtà e la natura in modo “autre”. E quando il percorso, nella sua inesorabile anabasi, ci inizia alle meraviglie di questo “giardino”, non possiamo non ritrovarci tra i petali della "ninfea" di Ibn Hamdis e i suoi profumi. E’ la pittura di Rosario Fortuna a restituirci questo giardino nella essenzialità del suo disegno biologico, quasi fuor dagli orpelli, condizionato dall’erosiva tempra dei verdi e dall’occhio candido del fiore navigante, in triste oscillazione, sulle acque della memoria e della visione interiore.
L’artista seduce e blandisce con le sue cromie, con i suoi impasti di luce e di colore, con le sue forme sinuose ed avvolgenti. Sembra spingerci nel gioco inarrestabile e trascinatore della visione, della contemplazione attiva del paesaggio, entrando nel ritmo intimo delle cose, nella vastità interagente della realtà naturale, nelle recettive scansioni della dimensione evocativa che promana da ogni evocazione floreale. Costruisce, lentamente, un percorso poetico-pittorico, che ci trascina in una dimensione ripida e coinvolgente. Disordine e trasformazione delle forme – evocate, quasi, dai versi del veggente Piccolo – che si condensano e riposano, con ampia rapidità espressiva, nell’incanto della visione che Fortuna propizia al nostro sguardo.
Cromie sognanti e voluttuose segnano questa ancestrale enciclopedia floreale, in tutta la loro fascinazione, in un travaso d’impressioni pigmentarie ove la lezione figurativa, assunta con vezzeggiati rimandi, si fa cocente di germinazioni, trasportate dai venti del corpo pittorico, votata dai mantelli del giallo, del verde e del rosso – nella declinazione infinita delle loro timbrature - approdata, senza forzature, nelle pieghe di una letterarietà di capace suggestione lirica ed emozionale.
In questo percorso, Rosario Fortuna riesce a cogliere l’intimità del fiore, quel fluire di toni, colori, chiarità, profumi e, allo stesso tempo, oscuri, profondi, carsici, inquietanti, volitivi, colmi di lirica pregnanza: «E s’aprono i fiori notturni…».
La condizione, diremmo storica e mitografica della mediterraneità, sembra sostanziarsi in questa esposizione di Rosario Fortuna, nella levità di un raggio, affiorato dalla perizia emotiva dell’artista, pervaso da metafisiche pennellature, e che si attesta, all’unisono, nella dimensione della visione e della parola, che celebrano un universo magico, colto in arcane e commosse partecipazioni alla visione, filtrate negli elementi essenziali della terra e dell’anima, del cielo e della corporea naturalità.
Con “Flos, Lux…” Rosario Fortuna tesse la sua poetica del paesaggio interiore, simbolico, mitopoietico, percorso da un impressionismo toccante, modellato nella intensa cromia delle timbrature siciliane, che si coagulano nella filtrata luce racchiusa nello scrigno della storia, di un luogo.
L’esperienza artistica di Rosario Fortuna si proietta, sicché, nello scenario dilatato d’una fantasia sempre riconquistata, nella ricerca d’una rasserenante sponda di riflessione, d’una calma contemplativa ed esistenziale. Forse irraggiungibili.
Salvo Sequenzia

Inaugurazione Mostra"Modelli Navali"di Carmelo Minimo



Filmato realizzato da Salvo Trommino in occasione della mostra di Carmelo Minimo

04 maggio, 2008

nella dimensione del sacro, un sacrilego: Oreste


3 maggio 2008, alle ore 19,00, nei locali della Galleria Roma in via delle Maestranze, Lucia Arsì: nella dimensione del sacro, un sacrilego: Oreste.
E' intervenuta la prof. Maria Teresa Asaro.
Esibizione musicale di Salvatore Zito

Oreste e ancor prima la madre Clitennestra e il padre Agamennone e, andando più indietro nel tempo, Atreo e Pelope e Tantalo( la genìa dei Pelopidi) sono immagini, mirabilmente rappresentati dai tragediografi greci, dell’ambiguità aporetica che tocca l’uomo nelle sue radici e ne fa un carnefice/vittima. L’uomo, che inevitabilmente torna all’indifferenziato, al caotico, allo smisurato (la dimensione del sacro), ubbidiente a forze extraumane (gli dei greci) o alla dimensione irrazionale, al punto da sacrificare (folle) le persone più care( Agamennone la figlia, Clitennestra il marito, Oreste la madre) diviene vittima sacrificale, e pertanto da venerare e da esecrare, la cui salvezza dalle Erinni (le furie vendicatrici o il senso di colpa) dipenderà dal processo di espiazione che arcaicamente avveniva tramite riti di purificazione( Apollo versa il sangue di un porcellino per purificare Oreste)o dal ritorno all’ordine mediante la legge. E la vendetta, che sia voluta da un dio o dal desiderio di sazietà mai soddisfatta, o dalla violenza naturale che prende il sopravvento, nell’etica arcaica si esercitava tramite la lex talionis, che nell’Orestea, così mi piace chiamare la trilogia eschilea, sarà sostituita dalla legge regolatrice, quella che sa ascoltare l’accusa e la difesa, quella che si esercita nel tribunale, nell’Areopago, l’antico tribunale ateniese ove si giudicavano i delitti di sangue.
Quanta parte- mi chiedo- ha l’uomo e quanta ne ha la divinità sull’uomo nell’esercizio della violenza? Per il religiosissimo Eschilo gli Dei accompagnano l’uomo nel viaggio verso il male perché dalla sofferenza nasce la conoscenza ( pathei mathos); dal rapporto diretto con il mondo, dalle percezioni legate alle cose e agli uomini, dal connubio fra ragione mente e cuore, osserviamo noi.

Lucia Arsì

vivere il futuro con serenità


Gli avvenimenti della vita, positivi o nrgativi, ci devono far riflettere con lungimiranza per farci vivere il futuro con serenità
Sebastiano Moscuzza