04 febbraio, 2008

La mia lingua è una tigre

La mia lingua è una tigre: se non la tengo a bada, mi divorerà.
Dovrei provare a dirlo ad un innamorato, al giudice che deve decidere anche per altri, all’amante non corrisposto e al condannato che chiede più giustizia.
Il primo perderà tempo, brucerà occasioni più favorevoli – forse si lascerà alle spalle terra salata: non bruciata, per favore!, non siate banali. Sulla terra bruciata cresce più rigoglioso il fiero asparago, dal sapore forte quando è crudo, capace di resistere anche nelle avversità, nella sete; sulla terra bruciata più ardito cresce il frumento, quello che ha sopportato ben altra morte del fuoco, marcire e poi rifiorire, rinascere.
L’amante non corrisposto, innamorato e pazzo, lascerà dietro di sé parlando terra salata: difatti su quella terra dovranno scendere nuovamente molte acque – molte lacrime – per far sì che il gusto tagliente del sale sia comprensibile, e non soffochi tutto dentro la bocca. Dovrei dirlo ad uno che vada in esilio, di tenere a bada la propria lingua: “Tu proverai sì come sa di sale/ lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale” – ecco ciò che porta la terra salata, antico insulto che i popoli recavano per non perdere la memoria dopo una guerra, poiché a tutti capita d’essere vincitori, e a tutti vinti.
Del resto, a chi si chiede giustizia per una “non giusta” condanna? Al giudice superiore. Chi controlla però, i Giudici? Sopra la Legge non v’è nulla. A ragionare bene, non v’è nemmeno il Potere Assoluto, quello di un Re. Difatti rex e regula, la “regola” che serve per misurare qualcosa, per dire se “rientra” o “non rientra” nella “norma”, sono fratello e sorella, termini uniti indissolubilmente.
Un Re, attenzione: non l’Imperatore – questi ha solo un potere militare, una forza bruta che non si esprime col cervello e col cuore, ma solo con le braccia, le armi. L’Imperatore non è un Sovrano Assoluto – le forze trovano equilibrio; gli Imperi cadono.
Le regole no. Rimangono.
Per questo motivo dovrei dire di tenere a bada la tigre della lingua al Giudice: “Cosa vuol dire avere/un metro e mezzo di statura,/ve lo rivelan gli occhi/e le battute della gente,/o la curiosità d'una ragazza irriverente/che vi avvicina solo/per un suo dubbio impertinente:/vuole scoprir se è vero/quanto si dice intorno ai nani,/che siano i più forniti della virtù meno apparente,/fra tutte le virtù la più indecente.//Passano gli anni, i mesi,/e se li conti anche i minuti,/è triste trovarsi adulti senza essere cresciuti;/la maldicenza insiste,/batte la lingua sul tamburo/fino a dire che un nano è una carogna di sicuro/perché ha il cuore troppo troppo vicino al buco del culo.//Fu nelle notti insonni/vegliate al lume del rancore/che preparai gli esami, diventai procuratore/per imboccar la strada/che dalle panche d'una cattedrale/porta alla sacrestia, quindi alla cattedra d'un tribunale/giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male.//E allora la mia statura/non dispensò più buonumore/a chi alla sbarra in piedi mi diceva "Vostro Onore",/e di affidarli al boia
fu un piacere del tutto mio,/prima di genuflettermi nell'ora dell'addio/non conoscendo affatto la statura di Dio.//”
Solo un nano dello spirito potrebbe condannare questo Giudice: ma l’altezza media, oggi, non cresce più di tanto…

Mosè

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